Un aspetto che apprezzo davvero tantissimo della cultura inglese, e che rende questo popolo ontologicamente differente dall'italiano medio, è l'apertura verso le culture diverse. Sotto tutti i punti di vista, dalla gastronomia all'arte, dal modo di vestire fino alla lingua, gli inglesi sono sempre ben lieti di fare nuove esperienze e conoscere nuovi punti di vista.
Ovviamente, la musica è uno di quei campi in cui il meltin' pot si rivela più efficace e così ho avuto modo di assistere ad un concerto organizzato da Sublime Frequencies, label americana che ha l'obiettivo di "scoprire ed riportare alla luce visioni e suoni oscuri delle moderne e tradizionali frontiere urbane e rurali", con particolare riguardo al Sudest Asiatico, al Medio Oriente e al Nordafrica.
Il programma della serata prevede due concerti: il primo a suonare sarà Omar Souleyman, mentre subito dopo il Group Doueh calcherà la scena.
Autentica leggenda del pop siriano, Omar Souleyman ha iniziato cantando alle feste private e ai matrimoni (come un certo napoletano Gigi) e con più di 500 titoli autoprodotti è l'autore di una musica che riunisce i suoni tradizionali ed esotici della musica araba con un sapore sintetico e techno che avvicina il suo stile alla musica hardcore da discoteca.
E infatti dal momento della sua apparizione fino ad un'ora dopo, veniamo trascinati in una discoteca siriana, in cui il caro Omar diventa cassa dritta, vocalist e DJ, trascinando tutti in ritmi dance scatenati su scale arabe dal suono meravigliosamente sghembo. La sua fisicità è impressionante: nonostante sia un pacato uomo, la sua presenza scenica è fantastica e riesce persino ad incunearsi tra la folla danzante per intonare i suoi canti da muezzin.
Alle sue spalle, l'emblematica figura del poeta rimane silente e, di tanto in tanto, sussura qualcosa alle orecchie del maestro, quasi a volere suggerire i testi per noi così affascinanti ed oscuri.
Il tastiera adopera il suo strumento come una serratissima drum machine, creando battiti che per noi occidentali sono abituali, ma tessendo melodie assolutamente stravaganti che vengono immediatamente seguite dall'oud, la chitarra araba dal suono tagliente.
Dopo una breve pausa per reintegrare i liquidi dispersi durante questo sabba techno, ecco apparire sul palco i Group Doueh, dal Sahara Occidentale, una distesa di sabbia tra il Marocco e la Mauritania. Mr. Doueh, come ama farsi chiamare, trovò una cassetta di Jimi Hendrix negli anni '70 e da allora si innamorò della chitarra elettrica, coniugando lo stile occidentale con la musicalità sahrawi tipica di quell'area del globo. Sul palco abbiamo la moglie e il figlio di Mr. Doueh, rispettivamente alla voce e alla tastiera, insieme ad un simpatico ometto che intonerà canti tipici con voce acuta e stentorea.
Le capacità sonore di questo gruppo sono davvero impressionanti: la chitarra viene prima scossa in suoni che ricordano il wall-of-sound di certo shoegaze occidentale, ma la combinazione di pezzi dalla struttura psichedelica lunghissima, il reiterato uso di suoni vocali ritmici e la potenza elettrica e infuocata che sprigiona dallo strumento riesce a mandare in trance sognante l'intera platea.
Anche stavolta, i musicisti sembrano coinvolti quanto gli spettatori e alla fine si trasforma in una festa danzante, con Mr. Doueh che suona la sua chitarra dietro la testa tra il pubblico, con il sorriso di chi ha, davvero, visto la luna in un istante.
Un concerto entusiasmante, meraviglioso e incredibile. C'è così tanto nel mondo da scoprire che non vale proprio la pena di annoiarsi.