domenica 16 dicembre 2007

Quanta musica, in questo 2007, che non dimenticherò.

Questa,che voleva essere una top ten degli album usciti nel 2007 che ho amato di più, contiene in realtà 20 titoli. Quindi, a rigore, è una stupenda e inusuale top twenty. Ed è un post dannatamente lungo, che sia chiaro.

E poi chissà come mai tutti quanti stilano sempre una top ten oppure una top thirty o una top fifty: sembra quasi che ci sia ostracismo e diffidenza vero il 20 in quanto numero.

Ma io riabilito il 20, eminentemente perchè 10 dischi per definire questo 2007 che scivola via erano un po' pochi, ma 30 rischiavano di annacquare la classifica con album che non ho che ascoltato distrattamente.

Mentre alcuni altri li ho ascoltati a lungo, e li ho fatti ripetere e ripetere in cuffia: in giro, sui bus a due piani di Londra, durante lo studio, in macchina, nella mia nuovissima sveglia.

E poi questo è stato l'anno di LastFM, che ha rivoluzionato il mio modo di capire e comprendere come ascolto musica, ha sopito la mia ansia di statistiche e mi ha fatto conoscere più di un'artista che alla fine s'è rivelato tra i miei preferiti. E inoltre mi ha fornito anche le classifiche annuali che mi hanno aiutato a stilare questa lista, sebbene tutti gli ascolti da gennaio e giugno non siano stati inseriti ed è stato necessario "l'intervento umano".

Ma adesso il cappello introduttivo è finito: ecco i 20 album usciti quest'anno che ho ascoltato e ho amato in questo meraviglioso 2007.


20. Burial - Untrue
Dietro lo pseudonimo Burial si nasconde uno sfuggente artista londinese di cui si ignora la vera identità, ma che riesce a manipolare la musica dub e garage in maniera così giudiziosa che si dimentica facilmente la fumosità del personaggio per godere appieno delle oscure sonorità.
L'ho ascoltato in maniera viscerale, i suoi beat e i suoi loop riescono a incendiare l'atmosfera e ad azzerare ogni distanza e poi "Archangel" è un pezzo di rara bellezza: una voce liquida si insinua spezzata su un battito garage e riesce a mettere i brividi, con quel loop che si affastella sul cantato, con quei beats che esplodono lontani.

19. Josè Gonzalez - In our nature
Riuscire a fare un album di pezzi acustici così bello è un'opera meritoria e impossibile ai più, mentre questa gradita sorpresa di Josè Gonzalez riesce a piazzare una decina di canzoni perfette, degne di un mito come Nick Drake. Un album che brucia di passione, di un'anima in fiamme che si riversa in musica.
E occorre molto coraggio e parecchia bravura per fare una cover di un capolavoro del trip-hop più acido ed elettronico come "Teardrop" in versione acustica e voce spezzata e farla risuonare calda accanto al gelido originale.

18. A Toys Orchestra - Technicolor dreams
Una rivelazione tutta italiana, un album tra i migliori della penisola. Basato su un solido impianto pop, stupisce però traccia dopo traccia con variazioni gradevoli e piccoli, stucchevoli pezzi di accorato canto e candore. Ne ho apprezzato tantissimo le melodie, solidamente intarsiate dal pianoforte su molti pezzi, sebbene ci siano momenti più variegati ed elettronici.
E poi, adoro senza posa "Cornice dance", con quella nenia irta di schegge e di chitarre è davvero da scena internazionale, da east coast, con quella coda che sfuma in un delirio post-rock di quelli che apprezzo di più.

17. Amy Winehouse - Back to black
Una voce immensa in un gracile e sgraziato corpo segnato dalle sostanze stupefacenti: è la solita, ritrita descrizione dei cantanti maledetti ma con Amy è davvero così. Vi diranno che è commerciale, che si è già sentita, che non c'è niente di nuovo.
Balle. La giovane londinese ha una voce d'altri tempi e la usa in maniera divina. O diabolica, forse. Basta ascoltare "Back to black", il suo testo triste e crudele, la voce che suona come un'intera orchestra, l'atmosfera da noir di bassa lega. E l'intero disco è ricco di dettagli curatissimi, nerissimi, perfetti.


16. The Shins -Wincing the night away
Un disco estivo e fresco, ma con uno spessore che scopri solo dopo gli inevitabili ripetuti ascolti: le sue melodie così accattivanti, i suoi ritornelli, i suoi coretti "la-la-la-la" lo definiscono come pop, ma c'è tanto altro dentro il calderone dei The Shins. E insieme a pezzi più semplici, smaccatamente e teneramente indie, si trovano degli esperimenti più astuti, in cui il gruppo sperimenta con e amoreggia con generi che non sono i soliti, ma con risultati gradevolissimi.
Il singolo "Phantom Limb" è il riassunto di un disco adattissimo per un breve in viaggio in auto, verso la spiaggia con tutti gli amici al seguito.

15. Animal Collective - Strawberry Jam
Rumore, urla e stridore di denti: si trova tutto questo nel fantastico album freak degli Animal Collective, dalla lucente e stupenda copertina. Un disco che trasmette un'allegria sciola e pervasiva, ricco di canzoni sperimentali e molto, molto citazioniste: le innovazioni sono palesi, la creatività è a livelli da saturazione ma l'insieme è così raffinato e così disgustosamente fresco da risultare irresistibile.
Ne è simbolo e incarnazione la mantrica "Fireworks", in cui un tappeto sonoro di ineguagliabile originalità fa da soggetto e da contorno allo sciamanico canto. Una sorpresa che spiazza tutti.



14. Cold War Kids - Robbers & cowards
Questa band di californiani esordisce con un disco davvero bello, che si è immediatamente conquistato i miei favori con le loro ciniche storie di realismo sociale, seppure con qualche riferimento di troppo ad una teologia della grazia di stampo calvinista. Ma i pezzi sono cantati in maniera molto accorata e suonati ancora meglio, in maniera da inserirsi idealmente in un filone waitsiano con un caleidoscopio di suoni e stili.
Il pezzo chiave è comunque "Passing the hat", con la sua storia di povertà e disperazione, con la sua verve tex-mex e il suo sapore caldo, sabbioso e cruento.


13. Feist - The remainder
L'ho scoperto solo di recente, ma è un album meraviglioso, potente e variegato, di una bellezza soffice e lucente. Leslie Fest ha una voce sublime e riesce ad usarla nei registri più vari e difficili, sempre in maniera accorata e cromaticamente vasta. Inoltre l'intero album è potenzialmente pieno di singoli di successo, mentre alcune canzoni sono delle ballate così lievi che lasciano veramente senza fiato. Impossibile scegliere solo una canzone, ma probabilmente è "So sorry" che mi commuove di più, con la sua dolcissima storia di malinconico amore, di tragica lontananza: e poi, la sua voce spezzata che s'inerpica fiera sulla melodia. E vibra, senza fiato.

12. Okkervil River - The stage names
Scuro, nero e lucido. Come sempre gli Okkervil River creano una collana di perle nerissime che splendono notevolmente grazie alla potenza del canto e della musica. Ed è proprio la voce la grande protagonista di questo album, sebbene l'intero impianto tradizionalmente rock riesce a creare le necessarie premesse per la grandezza di questo lavoro.
Più lo ascolto, più mi trascina nelle sue ballate folk e oscure, nei suoi gemiti strozzati: diverse canzoni entrano immediatamente in mente e non vanno più via. Ma il meglio arriva con la sublime "A girl in port" e il suo lieve incedere, traballante, triste.


11. Liars - Liars
Non servono parole, quando si parla dei Liars.
Il gruppo più smaccatamente pop dei nostri tempi, che non fa nemmeno una canzone pop. Perchè a loro piace stupire con oscuri incubi rumoristici, con una dimensione tribale che si sprigiona in ogni pezzo con una carica micidiale, devastante. Dopo il successo del concept-album dell'anno scorso "Drum's not dead", tornano immediatamente con una raccolta di pezzi perfetti, a partire dalla splendida cavalcata rock di "Plaster casts of everything", probabilmente la canzone più trascinante dell'intero anno.
E come non amare le loro sperimentazioni sulle percussioni, il loro ritmo elettroacustico, il loro picchiare selvaggio, ma sempre al punto giusto: "Leather Prowler" ne è l'oscuro manifesto.

10. Justice - Cross
Direttamente ispirati dai padri(ni) Daft Punk, i francesi Justice esordiscono in maniera eclatante con questo cesellatissimo album di pura disco, un frullato di succhi da discoteca che rielabora una tradizione pluridecennale. Un disco che afferma ancora una volta la strabiliante superiorità delle sonorità europee in questo settore, ed è tutto meritato: sin dalle battute iniziali l'album procede alternando marzialità accattivanti con lievi cantati femminili ammiccanti e sexy, senza nessun passo falso.
I pezzi si dispiegano potenti come fossero sparati da migliaia di watt su un dancefloor oceanico e la meravigliosa "Stress", con il suo cattivissimo loop dal battito techno, dall'incedere sicuro, dal ritmo snervante.

9. Giardini di Mirò - Dividing opinions
E' possibile fare post-rock in Italia, e i GdM lo dimostrano in maniera elegante e perfetta piazzando un disco meraviglioso che fa sfigurare parecchia simile produzione estera. Era nell'aria da tempo ma fortunatamente mantiene tutte le promesse sin dall'inizio: si tratta di una raccolta di grandi canzoni, tutte similmente belle ma a suo modo ognuna diversamente eccezionale.
Mi piange il cuore a sceglierne solo una, ma ecco io ho ascoltato fino all'usura la splendida "Self help", in cui fa capolino il Glen Johnson degli amati Piano Magic: e la sua voce si sposa senza problemi con l'impianto sonoro che gli italiani tessono alle sue spalle.

8. Spoon - Ga ga ga ga
L'ho già detto, è un titolo osceno per un album così grande. Mi ha catturato con la potenza di alcuni suoi brani, ma lentamente si è insinuato grazie alle sue innumerevoli qualità. Non ultima, la voce del front-man e la sua peculiare capacità di piegarla ai propri voleri sebbene sia spesso portata ad un rauco urlo. Ma la grandezza resta e risiede proprio nella ricchezza cromatica del loro suono, alla violenza delle chitarre, ai battiti sincopati sul pianoforte e anche ad una certa rigorosa semplicità delle melodie, capaci di catturare all'istante l'ascoltatore. Splendida rappresentante è "You got Yr. Cherry Bomb" e i suoi fraseggi orchestrali, il suo ritornello immediato e l'improvvisa voglia di fischiettarla, ovunque.

7. Editors - An end has a start
Un gruppo che più british non si può, ma che rilegge in chiave dark una tradizione che dagli U2 passa dai primi Radiohead e arriva fino ai Coldplay, ma sempre dal lato oscuro, fin quasi ad arrivare ai Joy Division. Gli Editors sono maestri nel costruire architettoniche canzoni dall'impianto monumentale, a partire dal sinfonico incipit del disco. Emerge una notevole cura nell'impianto-canzone ed il risultato sono parecchi pezzi in cui la voce, le chitarre e tutto il resto si rubano la scena a vicenda con ottimi risultati. Incredibilmente bella è la nerissima cavalcata di "When anger shows", con il crescendo finale di stampo smaccatamente pop tra chitarre tesissime e voce in grandissima tensione.

6. Interpol - Our love to admire
Si parlava dei Joy Division, ed eccone gli eredi più accreditati: direttamente da New York gli Interpol sfoderano questa terza prova, che è comunque il loro disco meno riuscito, ma la qualità assoluta è parecchio elevata. In questo album si intravedono nuovi territori precedentemente inesplorati dal gruppo, in cui i taglienti riff di basso e chitarra che marchiano a fuoco le loro canzoni raggiungono una dimensione nuova, più vicina alla new-wave, agli anni '80 che tanto hanno donato alla loro verve.
Personalmente la coda finale del disco è la parte più gradita del disco, ma è con "Who do you think?" che mi scateno maggiormente, che, sebbene sia sicuramente l'episodio meno dark e meno attinente ai temi propri della band, ha una capacità notevole di trascinarmi via.

5. The Field - From here we go sublime
Un disco pazzesco, in cui la tecnica del sample e del loop ricombinante è portata ai suoi fasti più gloriosi per creare dei pezzi colpevolmente bellissimi. E' sufficiente selezionare un misero secondo da un altro pezzo del passato per dare vita ad una cascata di suoni elettronici fluidi, liquidi e caldissimi, come vino in nave spaziale.
Accenni di melodia, beats metallici, voce in loop e campionamenti spiazzianti: è il trionfo della minimal techno, ma si tratta di pezzi da ascolto silenzioso, da introspezione, capaci di proiettare l'ascoltatore in un'atmosfera da sogno, come un moderno mantra tecnologico capace di infondere la calma interiore in maniera elettronica. Il pezzo chiave è "Silent": costruito su un loop inverso di squisita fattura, si estende su un tappeto ambient di rara qualità e termina in una lieve esplosione house dal sapore freschissimo.

4. Modest Mouse - We were dead before the ship even sank
L'indie in testa alla classifica s'era visto poco, ma i Modest Mouse sfondano ogni record e si piazzano lì, in altissimo, con questo caleidoscopico album giocato tutti su chitarre potenti, su arrangiamenti sempre complessi e canzoni travolgenti. Lo splendido singolo "Dashboard" riassume diverse centinaia di stili diversi e si fa portavode di una poetica dell'accumulo, in cui le canzoni tiratissime si rubano la scena a vicenda. L'ho ascoltato tantissimo, ma ancora mi stupisco per la ruvidezza di "Spitting venom" e il suo incedere traballante iniziale che si trasforma in uno stupendo crescendo prima smaccatamente rock e poi più tenue. Da brividi, da applausi: da oggi l'indie è aperto al pubblico.

3. Radiohead - In rainbows
Un nuovo disco dei Radiohead è sempre un evento di portata sovrannaturale e difatti non ricordo di aver mai atteso con ansia il rilascio di un disco. Per non parlare dell'intera vicenda del rilascio online e pagamento "it's up to you".
Appare emblematico come nessuna canzone rifulga particolarmente nell'album, ma questo, piuttosto che essere dovuto ad una tenue mediocrità dei pezzi, è l'indice di una smisurata eccellenza così superbamente diffusa in ogni canzone da rendere praticamente impossibile trovare punti deboli. Gli alfieri di Oxford continuano ad innovare, fanno tesoro della lezione da solista di Thom dell'anno passato e si pongono in bilico tra gli anni '90 e il 2010, con un solido insieme di canzoni da lasciare alla storia. Se proprio devo, scelgo "Bodysnatchers".

2. The National - Boxer
Esterno, notte, paesaggio urbano piuttosto desolato, quasi industriale. Piove. Ecco il mood che ci avvolge con le prime note dell'album e quest'atmosfera dark ci trascina per dieci ottime canzoni, in cui la caldissima e grave voce del frontman ci annienta con dei testi meravigliosi, dei piccoli poemi dall'oscuro splendore. La batteria domina su tutto, ma ogni cosa è al posto giusto: sono parecchi i pezzi capaci di incantare al primo ascolto, di evocare momenti di ghiaccio e parole taglienti, liti furiose e lacrime amare.
E poi "Slow show": un testo cinico e bellissimo, una canzone d'amore disincatate eppure caldissima, con quel piano che alla fine rimarca la melodia, e la suggella, fiera.

1. Arcade Fire - Neon Bible
Se penso che si tratta di una quindicina di persone che suonano e urlano e scalpitano sul palco e che riescono a creare questo dannato capolavoro di questo 2007, ecco, mi viene proprio voglia di vederli dal vivo. Sì perchè gli Arcade Fire mettono in campo un arsenale musicale, sul quale la voce di Butler urla le sue parole accusatorie contro tutto e tutti, contro il presente, contro l'America, contro la religione.
L'intero album si ascolta tutto d'un fiato, poichè le canzoni sono solidamente agganciate l'una all'altra senza soluzione di continuità: è incredibile la ventata d'aria fresca che hanno portato quest'anno questi matti canadesi! E "Intervention" è il mio pezzo preferito, senza dubbio alcuno, di questo intero 2007, un intenso urlo in crescendo con un organo mozzafiato a fare da portante. Sublime, invero.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ecco il frutto di 365 giorni d'ascolto, se continui per altri 10-15 anni a fare la classifica...credo che potrai puntare a farlo diventare un premio si risonanza mondiale.

maelstrom ha detto...

Sì già vedo l'intera cerimonia e il premio potrei chiamarlo "Maelstrom Best Of", e così poi ci sarebbe una "Maelstrom Hall of Fame"... ehehe

Intanto mi diverto a scriverla ogni dicembre, sperando che qualcuno la legga. La tua, quando la fai?

Lieve ha detto...

Hai una certa passione per le classifiche o_0, mi ricordi qualcuno che conosco :P