martedì 4 settembre 2007

brand:new from london

Una doverosa premessa è relativa all'album "Funeral" degli Arcade Fire: uscito nel 2004, si merita un mai visto 9.7 su Pitchfork e devo dire che è tutto meritato. Dalla prima all'ultima nota.

Peccato averlo scoperto soltanto adesso, seguendo a ritroso il loro "Neon Bible" di quest'anno, quasi sicuramente nella Top Ten di fine anno.

Ma sto rimediando, credetemi.

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Questi miei ultimi giorni londinesi sono dedicati a tracciare il bilancio di questa esperienza: ovviamente un bilancio completo necessita del mio ritorno in Italia, ma almeno posso tracciare un bilancio musicale, relativo alle canzoni che mi hanno accompagnato in questa fredda estate britannica.

Iniziamo dai The Shins con il loro fresco "Wincing the night away": inizialmente sottovalutati, la solita prova dell'ascolto in sottofondo mi ha impresso nella mente le orecchiabili melodie del gruppo, leggere e friabili, estive e simpatiche. Un ascolto più attento ha rivelato anche qualche episodio meno pop e più sperimentale, qualcuno riuscito altri meno, ma tutti quanti gradevoli: siano orchestre, synth o batterie è sempre tutto al posto giusto.

E poi, certi riff e certi ritornelli sono impossibili da non apprezzare fin dal primo ascolto: provate "Australia" e "Phantom Limb"!!

Passiamo adesso agli Spoon con "Ga Ga Ga Ga Ga": titolo osceno ma grande, grandissimo disco. Pericolose e immediate somiglianze con apprezzati gruppi (Modest Mouse? The Decemberists? Cold War Kids?) mi hanno immediatamente fatto alzare l'attenzione sul loro disco: appena ho catturato dei singoloni spaziali come "You got Yr. Cherry Bomb" ho subito capito che questi eclettici buontemponi ci sanno proprio fare e riescono a miscelare con sapienze strumenti disparati e la voce molto catchy del loro front-man, che da il meglio quando urla appassionato nell'incipt "Don't make me a target". Notevoli doti artistiche, riescono a suonare con perizia una serie impressionante di strumenti (ma siamo lontanti dal polimorfismo à la Arcade Fire).

Per finire, parliamo dei Liars e del loro ultimo omonimo album. Chi mi conosce lo sa, io adoro i Liars, ma chi li sente per la prima volta rimane quasi (sempre) spiazzato. La loro musica, molto particolare, spazia dal noise più estremo all'indefinibile, con ruggiti, urla e battiti metallici che possono mettere a disagio l'ascoltatore meno preparato. Ma questa loro ultima opera è davvero imponente, fin dall'iniziale "Plaster casts of everything" (con allegato superbo e allucinante video onirico) si dipana un tessuto compatto fatto di ribellione, rivolta, potenza e sicurezza di sè. Numerose le gemme del disco, dalla meccanica "Leather prowler", legata a certi stilemi industrial del gruppo, fino alle chitarre pungenti di "Cycle time" e al funk elettrico di "Clear island".

Nota finale sui Gossip della scatenata e enorme Beth Ditto: li trovo dannatamente divertenti, ma non so ancora pronunciarmi. E' evidente che però senza Beth e la sua potenza vocale non sarebbero che l'ennesimo gruppo di sconosciuti.

Da ri-valutare, insomma.

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