Alla Cartiera, in via Casa del Mutilato. Posto affascinante, per qualche dolcissimo trascorso, perfino divertente.
Ma partiamo dall'inizio.
Io questo concerto lo volevo maledettamente vedere, perchè il disco dei Micecars si era guadagnato ascolti su ascolti dopo la prima timida volta.
Sì, perchè io lo ascoltavo e lo mettevo da parte, ma poi tornava alla riscossa, sapendo che avrebbe vinto. E alla fine ha vinto, incastonando nella mia mente le chitarre, gli urli, ma soprattutto le melodie.
Forse sono più delle "orecchiabilità", che delle melodie. Comunque, si tratta sempre di piccoli e semplici brani, dannatamente fighi, che ti entrano tra le orecchie e rispuntano sempre quando meno te l'aspetti.
Per esempio, sotto la doccia.
Che poi, sono italiani. Romani. E tu pensi che per la prima volta tutto il baraccone dei blog, delle webzine, del passaparola, è arrivato a casa tua. Non si tratta di qualche gruppusculo o cantantino albionico che scala le classifiche partendo da MySpace.
Stavolta si tratta degli Arctic Monkeys de' noantri. E in questa frase ogni paragone è scomodo ed insensato, se non in una certa affinità nei modi d'emergere dall'anonimato.
Ad ogni modo, si arriva in piazza Teatro Massimo, senza nemmeno penare tanto a convincere lei.
La Cartiera è ancora vuota. Si fa un giro, qualche drink.
E poi, dietro l'angolo, li incontro. I Micecars. Cioè, solo 4 Micecars.
Ciondolano, birra in mano, tra i detriti dei lavori di ristrutturazione. Si guardano intorno, annoiati.
Decidiamo di seguirli, nel periplo della piazza.
Entrano nel locale. Li seguiamo. Paghiamo (poco). Entriamo.
[Questa parte è stata modificata in seguito ad alcuni commenti chiarificatori del Sig. Micecars e di altri componenti del gruppo su quanto avevo erroneamente scritto, spinto da un atteggiamento del Sig. Micecars stesso che io ho equivocato.]
Sul palco una coppia incognita suona una coppia di chitarre.
Mi avvicino al bancone per una birra. Ed accanto a me, lo vedo.
Il Sig. Micecars (qui ritratto) beve birra da un bicchiere di plastica. Sembra visibilmente infastidito dai suoni prodotti dalla coppia incognita, ma così non è. Probabilmente è soltanto l'estrema stanchezza. Gli chiedo quando inizieranno a suonare, lui risponde che dipende dalla coppia incognita.
E' quasi mezzanotte, la coppia finisce. Arrivano i Micecars.
[Fine della parte revisionata.]
Si inizia con "Ghost Trolley", il pubblico è freddino ma approva e applaude. Il locale è un buco, l'audio è davvero pessimo.
Loro sono dei cazzoni fighissimi. Simpaticissimi, indie-issime cazzoni. Urlano troppo bene, ci sono 6 persone sul palco, 4 chitarre 1 basso 1 batteria. Ma urlano davvero tutti.
Le canzoni scorrono veloci, ma l'audio è tremendo. Tanto il disco è perfetto nella cura dei dettagli, dei bisbigli, delle urla, dei riff, tanto in quel locale non si distinguono bene i singoli strumenti. Il pubblico si anima, ma nessuna folla a pogare in mezzo. Dal mio trespolo mi godo il concerto, accennando qualche movimento di gradimento mentre canto tutte le canzoni.
Nel bel mezzo di "Underwater slug" il cantante perde l'uso del microfono. Continua a cantare, noi riusciamo solo a sentire tutti gli strumenti, i cori degli altri e le urla, mentre le sue labbra si muovono silenti.
E poi fanno "Americans", il mio pezzo preferito. Riesce bene. Sono completamente soddisfatto.
Tirando le somme, un'oretta di concerto, con tutte le canzoni del loro album. Che in realtà suona molto meglio, specialmente in cuffia, più curato, più chiaro, più divertente. Molti più dettagli, tappeti elettronici, riff taglienti, voci più intellettuali.
Ma il casino che riescono a fare dal vivo, le urla, i salti, la pazzia dei movimenti. Gran bella esperienza. Peccato il posto claustrofobico.
E subito fuori dal locale, un causale incontro.
E già si parla del prossimo concerto.