A chiusura di un anno così denso di avvenimenti come questo fantastico 2008, non può mancare anche l'ormai rituale passaggio della classifica dei migliori dischi di questi 12 mesi: sinceramente ho ascoltato davvero moltissima musica nuova, grazie al meraviglioso mondo di OndaRock e anche all'avventura di BlogList, per il quale ho scritto qualche recensione musicale.
E' stato un anno di approfondimento, in cui ho scoperto nuovi generi e nuove sensazioni: sono sempre stato alla ricerca di una forte componente emotiva più che estetica, ma lentamente inizio ad appassionarmi anche dal punto di vista tecnico ai pezzi che ascolto e cerco, sopratutto, di approfondire la componente storica. Ovviamente rimane sempre come unico obiettivo il divertimento, quindi non accampo nessuna pretesa di competenza.
Dopo questo velato disclaimer, ecco una classifica, mia e personalissima, dei dischi che più ho apprezzato in questo 2008.
20. Bersarin Quartett - s/t
Sono sempre stato un sostenitore dell'algida elettronica tedesca, ma questo disco è permeato da un gusto così post-sovietico da risultare accorato e drammatico. Debutto di uno sconosciuto artista di Münster, è un trionfo di loop con archi filtrati, sample che si innestano con dinamica irregolare e stratificata, echi cinematografici di paesaggi urbani vuoti e desolati, in cui unica consolazione rimane, forse, il vento che solleva la polvere.
Elementi fortemente romantici, figli di una tradizione classica tedesca a tratti insuperabili, colorano in maniera eccezionale i pezzi. La splendida "St. Petersburg", con la sua coda di esplosioni, è davvero un piccolo capolavoro d'arte moderna.
19. Fucked Up - The chemistry of common life
I primi secondi contengono un flauto, ma immediatamente si presenta una chitarra vorace e poi un urlo rabbioso: puro hardcore-punk, un colpo al volto e inizia una discesa a tutta velocità attraverso canzoni veloci, piene di carica e di fuoriosa grazia. I canadesi Fucked Up piazzano colpi su colpi, ma la loro tecnica è davvero sopraffina e il disco si lascia ascoltare. Difatti, sebbene non sia effettivamente un amante del genere, non ho potuto fare a meno di scatenarmi con i loro pezzi in cuffia. Superata la diffidenza verso la voce gracchiante e urlata, pezzi com "Son the Father" regalano pelle d'oca e brividi di piacere. E poi, la copertina è la foto che mi piacerebbe scattare.
18.These New Puritans - Beat Pyramid
Math-rock puro e sghembo per questo quartetto londinese: strutture ritmiche complesse e riff accattivanti, ma la capacità di sorprendere con sperimentazioni li rende probabilmente più interessanti del resto delle band inglesi. Il disco scivola veloce e potente attraverso pezzi davvero carichi di originalità e brevi intermezzi sperimentali, orde di suoni che si accavallano e si precipitano con irruenza. Li ho apprezzati anche per la loro attitudine un po' oscura, un post-punk tenebroso ben rappresentato dalla cavalcata "Elvis", forse il loro brano di maggior successo.
17. Le Luci Della Centrale Elettrica - Canzoni da spiaggia deturpata
Il caso musicale italiano dell'anno: debutto folgorante, hype che sale a livelli incredibili, la critica e il pubblico che si dividono. Brutta copia di Rino Gaetano, ultimo vero cantautore italiano, epigono dell'estetica dei CCCP: insomma, l'accordo è impossibile. Resta il fatto che i suoi testi sono davvero bellissimi e spettrali, la rabbia con cui vengono fuori regala emozioni e la chitarra di Canali ricama elettricità su tutto. Non di meno, piccoli minuscoli tormentoni nascono e si diffondono, nella migliore tradizione italiana: e così si va a bere dalle pozzanghere, si scopre che i CCCP non ci sono più e ci si impicca nei garage. E forse la voce che si infiamma in "Piromani" è davvero il segno che la musica italiana è viva e vegeta. Ancora.
16. Fleet Foxes - s/t
Da Seattle ecco l'ennesimo gruppo di qualità eccelsa: il loro sedicente "baroque harmonic pop" è un monocorde affresco fatto di folk-pop, delicati arpeggi di chitarra e coretti bucolici, ma anche di storie cupe, appalachiane e distruttive. Sono stati piuttosto pompati dalla critica di oltreoceano, ma personalmente ho visto un bell'album, bei suoni e ottime canzoni pop. I pezzi sono orecchiabili e si incollano alle orecchie dopo pochi ascolti, inoltre le qualità vocali del gruppo sono sicuramente degne di menzione. Episodi cupi e malinconici come "Tiger Mountain Peasant Song" rivelano inoltre una capacità di scrittura che può relagare numerose soddisfazioni in futuro.
15. Thomas Function - Celebration
Ecco uno di quei dischi così scanzonati e irriverenti che risultano perfetti per allietare una divertente serata tra amici: un misto incredibile di generi diversi, dal power-pop al garage, blues, rock, voci fanciullesche e tremendamente esilaranti, canzoni semplici ma trascinanti. Un quartetto di ragazzoni dell'Alabama, che magari fa le prove nella cantina dei genitori: ed ecco un perfetto album di puro divertimento, canzoni immediate e fresche, frizzanti e colorate come un ghiacciolo alla Coca-Cola. E "A long walk" regala progressioni davvero incredibili, ma sono registri e toni diversi sono ugualmente presenti nel disco. Perfetto per una festa, una gita fuori porta o per l'autoradio durante viaggi brevi.
14. Drift - Memory Drawings
Non ho mai nascosto il mio amore smisurato per il post-rock, per le sue progressioni lente e trascinanti, per il suo liquido ed elettrico fluire. D'altra parte, anche il jazz ha iniziato, seppure più recentemente, ad affascinarmi. Ed ecco che arrivano i Drift: i loro riverberi sognanti, la dialettica di lotta tra la gli strumenti, la tromba che combatte contro basso e batteria, asimmetrie e poliritmi, assoli lunari di bellezza pietrificante. Il tutto in un'estetica post-rock che regala calore ma anche fredda luminosità ad ogni nota. E in "Uncanny valley" la tromba si accompagna alla batteria su pendii ripidi e scivolosi, in un climax sottolineato solamente dalle chitarre in secondo piano. Disco ammaliante.
13. Mercury Rev - Snowflake Midnight/Strange Attractor
Se una band che da anni non pubblica più nulla dopo i capolavori degli anni 90 pubblica un doppio album nel 2008, possono accadere due cose: una tiepida e scialba reunion oppure un capolavoro costruito con il coraggio di osare su una nuova strada. I Mercury Rev hanno proprio trasformato la propria arte e hanno sfornato un doppio album di dream-pop sognante ed etereo, ma costellato di pulsazioni elettriche e raggi di luce, di distorsioni shoegaze e progressioni epiche. Un pezzo multiforme come "People are so unpredictable (there's no bliss like home)", con i suoi cambiamenti di registro e la sua luminosa e onirica bellezza, regala piacevoli brividi sintetici e lucenti istanti di puro piacere. La classe non è acqua.
12. Black Mountain - In the future
Un'immersione nel hard-rock di circa 30 anni fa: i Black Mountain sono riusciti a riappacificarmi con un genere musicale che non mi aveva detto nulla e che, invece, ho iniziato ad apprezzare con estremo interesse. Brani lunghi e progressioni complessi, sapore di Pink Floyd e Jefferson Airplane ma in maniera quasi surrogata, come se questa rievocazione storica si fermasse a metà tra recupero del passato e rielaborazione originale. Nonostante questo evidente limite, è un album piuttosto simpatico che ha il pregio di recuperare sonorità avvolte nella storia: l'incipit "Stormy high" potrebbe far innamorare più d'uno.
11. Mogwai - The hawk is howling
Ritornano i maestri scozzesi del post-rock, gli alfieri di un genere che ha generato proseliti a volte imbarazzanti ma che può regalare emozioni laceranti. Ed è proprio il caso dei Mogwai, che si dimostrano sempre capaci di superare i canoni del genere restanone comunque all'interno: le dinamiche complesse e stranianti, i riverberi che si accumulano, i climax sonori che avvolgono sono sempre cesellati con perizia non comune e le atmosfere quasi industriali di alcuni pezzi esemplificano un'estetica postmoderna e decadente. Un pezzo come "Scotland's shame", poi, è da annoverare tra i migliori di sempre della band: una distorsione di fondo sul cui muro si innesta una melodia struggente, chitarre che si inseguono e che rotolano, veloci, verso il nulla.
10. Foals - Antidotes
Altro disco di spensierato math-rock, con capacità immediata di trascinare la mente verso ritmi inusuali e contagiosi: i Foals mi hanno colpito per l'apparente immediatezza dei loro pezzi, dietro cui si celano ritmiche complesse. Irruenza adolescenziale che riesce, senza un briciolo di elettronica, a coinvolgere il corpo e la mente al pari della migliore detroit techno. Forse si tratta di brani un po' simili tra di loro, ma la brevità e l'originalità del lavoro merita davvero più di un ascolto. Impressiona parimenti la carica del gruppo, che trasmette un'energia incredibile sia nella musica che nell'attitudine, ed un pezzo trascinante come "Cassius" ne è la dimostrazione più evidente.
9. Fuck Buttons - Street Horrrsing
Un debutto per me folgorante, che mi ha avvicinato alla scena noise scoperchiando di fatto un vaso di Pandora nella mia mente. Strutturato come un'unica lunga suite, questo disco è una violenza dolcissima verso l'ascoltatore, che viene trasportato da droni metallici, urla filtrate e noise, ma anche l’elettronica e i synth sono degli importanti comprimari. Un gusto pop fatto di melodie degne di Brian Eno che vengono però divelte dal tribalismo onirico di pezzi come “Ribs out”, capaci di sovvertire e sconvolgere con le percussioni demoniache e le urla selvagge. Un disco che può risultare indigesto a molti, ma che davvero regala cortocircuiti mentali e un'ossessione, costante, che non va più via.
8. Deerhunter - Microcastle/Weird Era Cont.
Una scoperta piuttosto recente, ma che è stata senz'altro molto gradita: il doppio album dei Deerhunter è un frullato indie di svariati e slegati generi, un calderone in cui convivono dream-pop, synth-pop, shoegaze e forse tanto altro ancora. Affascina la capacità con cui saltellano tra canzoni di registo così differente senza mutare le coordinate di fondo della loro musica, in una sequela impressionante di canzoni che hanno, tutte, la capacità di restare impresse nella mente, nelle orecchie. Impossibile destreggiarsi tra i vari pezzi alla ricerca del migliore, ma il mio preferito è senza dubbio lo psych-pop di "Nothing ever happened": diretto, veloce e aggraziato. Grazie, davvero.
7. Beach House - Devotion
Un disco che mi ha catturato durante l'inverno scorso grazie alle sue sonorità così eteree e sognanti, uno chamber-pop di squisita fattura che si regge molto sull'atmosfera domestica della musica e sulla splendida e accorata voce di Victoria, capace di ricamare e saltellare in maniera affascinante e splendente. E le canzoni sono così docili e graziose da rapire l'attenzione: per qualche minuto si vola in preda ad un sogno, in un fioco eco di luci magnetiche e in un manto sonoro fatto di effetti e chitarre, tastiere e organi. Inoltre "Gila" è probabilmente una delle canzoni più belle di questo 2008: Victoria riesce a commuovere con la bellezza dei suoi voli vocali, mentre la musica, serva, si piega al suo fascino.
6. No Age - Nouns
Due ventenni alle prese con distorsioni e punk: no, non è il 1984 e i My Bloody Valentine sono ormai una band storica, eppure i No Age sono riusciti a ricreare in maniera originale quella sensazione di violenza che stuprò le orecchie di molti e che ancora oggi affascina. A metà tra scanzonata band collegiale e sincopato gruppo punk, i No Age confezionano canzoni pregne di un wall-of-sound smaccatamente pop, annegate dentro sfrigolii elettrici, in un'attitudine lo-fi che regala una patina di ingenuità al lavoro. Canzoni come "Here should be my home" potrebbero benissimo diventare singoloni di successo tra i ragazzi di oggi, ma purtroppo il mondo va a rotoli e quindi i No Age li apprezziamo davvero in pochi. Troppa grazia, probabilmente.
5. Cut Copy - In ghost colours
La serata perfetta sul dancefloor house: ecco cosa trovate dentro l'alcum dei Cut Copy. Non stiamo parlando, però, della solita musica house, ma di un abile ricetta in cui si sposano a meraviglia sonorità 80s e elettronica più moderna, coretti 60s e sintetizzatori, nonchè casse che hanno il sapore acido e duro dei 90s. Oltre ai pezzi più danzerecci, di una qualità così eccelsa da risultare effettivamente irresistibili, è possibile trovare anche momenti meno scafati e rallentati. Ma è comunque con “So haunted” che siamo letteralmente trascinati in pista: una cavalcata inarrestabile, i bassi che montano, le chitarre taglienti e il ritornello assassino: ed è stupendo sciogliersi immediatamente nella calda e unta house music dei Cut Copy.
4. Baustelle - Amen
Dei Baustelle si è parlato davvero tanto, forse troppo: da piccoli alfieri dell'indie-pop italiano sono passati al successo nazionale, e questo può aver dato fastidio. Resta il fatto che hanno fatto un album eccezionale, sia sotto il punto di vista della musica che per quanto riguarda i testi, originali e sempre bellissimi. Forse un po' d'odio verso gli intellettuali li ha danneggiati un po', ma trovo splendidi i loro bozzetti sociali di questi anni roventi, così come apprezzo la genialità de "Il liberismo ha i giorni contati", con la sua impietosa analisi di questa Italietta. Li ho pure visti dal vivo, in un concerto che ha confermato la mia opinione sul gruppo: una delle realtà più belle ed eleganti della musica italiana.
3. Portishead - Third
Stesso discorso fatto per i Mercury Rev: una band si riunisce dopo tanto tempo e sforna un capolavoro. Ma in questo caso si tratta davvero di un disco che ha spiazzato tutti, perchè i Portishead avevano fatto la storia del trip-hop nel 1994 e adesso continuano ad incidere il loro nome con caratteri immortali nella storia della musica. Beth Gibbons rimane sempre un miracolo, la sua voce, immensa, regala emozioni elettriche e totali: la band riesce a virare su territori più oscuri, figli di un'epica industrial davvero innovativa. E poi, un pezzo come "The rip" è qualcosa di monumentale: la voce che inizia delicata e che viene stravolta e strappata in un loop infinito, una meteoria infuocata che solca i nostri cuori. Una lacrima infinita.
2. Have A Nice Life - Deathconsciousness
5 anni: in questo lasso di tempo gli Have A Nice Life, chiusi in uno scantinato del Connecticut, hanno creato questo stupendo album. In bilico tra shoegaze e gothic, 85 minuti di pezzi lunghi e stratificati divisi in due metà: la prima più oscura e riflessiva, dominata da toni eterei e pacati imbevuti di ineluttabile e deserta tristezza; la seconda più potente, più elettrica, pennellata tra fortissimi echi industrial e urla noise-punk, chitarre scheggiate e voci filtrate. Ma ogni singola canzone è una perla di chiara e lucente bellezza: forse svetta tra tutte la splendida piece finale “Earthmover”, che muove da un cantato semplicissimo ma ricco d’effetti per annegare in un vortice di rumore in cui si aggira soltanto un’insistente melodia al pianoforte.
1. The Magnetic Fields - Distortion
Il loro frontman Stephin Merritt è un ottimo autore di splendide canzoni pop, ma stavolta è riuscito ad annegare le sue melodie e i suoi ritornelli killer in un muro di distorsioni e feedback degno dei Jesus And Mary Chain. Un proposito che può apparire ridicolo, ma che ha dato vita ad un disco sensazionale: melodie meravigliose, testi sempre divertenti ed intelligenti e tanta, tantissima distorsione. Pezzi che gareggiano tra di loro per bellezza, ma il mio preferito è probabilmente "Too drunk to dream": irriverente, geniale e accompagnato da un cumulo di riverberi, distorsioni e feedback. Penso che a Merritt avrebbero dovuto dare un premio solamente per aver concepito l'idea, di questo disco.